Il diritto di abitazione è previsto e disciplinato dall’art. 1022 c.c. in forza del quale (a chi ne gode) è consentito abitare una casa “limitatamente ai bisogni suoi e della sua famiglia”.
Tale diritto è in particolare garantito ex lege, ai sensi dell’art. 540 c.c., al coniuge superstite, al quale sono riservati, anche in presenza di altri chiamati all’eredità, i diritti di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e di uso sui mobili che la corredano, se di proprietà del defunto o comuni.
Tale ultimo aspetto (la circostanza che la casa e gli arredi siano “di proprietà del defunto o comuni”) assume particolare importanza dal momento che l’eventuale comunione di detti beni tra il coniuge defunto ed un terzo costituirebbe una limitazione al configurarsi del diritto in esame.
Per quel che riguarda l’indirizzo dottrinario prevalente infatti, la ratio dell’art. 540 c.c. deve rinvenirsi nell’esigenza di assicurare al coniuge superstite il pieno godimento dell’abitazione familiare e dei beni in essa compresi, pertanto la presenza di un comproprietario estraneo alla successione escluderebbe alla radice il sorgere di tali diritti. In proposito si è osservato che il legislatore, prevedendo l’ipotesi della casa comune intendeva riferirsi esclusivamente alla comunione con l’altro coniuge, tenuto conto che il regime patrimoniale della comunione legale è quello presumibilmente più frequente a verificarsi tra i coniugi.
Pertanto, ove comproprietario sia un terzo, non possono verificarsi i presupposti per la nascita dei diritti di abitazione e di uso, non essendo in questo caso realizzabile l’intento del legislatore di assicurare in concreto al coniuge il godimento pieno del bene oggetto dei diritti stessi. In altri termini, in tanto può sorgere il diritto di abitazione, in quanto vi è la possibilità di soddisfare l’esigenza abitativa; se questa non può soddisfarsi perché l’immobile appartiene anche ad estranei, i diritti di abitazione e uso non nascono.
Si è dunque statuito che la titolarità del diritto di abitazione riconosciuto dall’art. 540 c.c. al coniuge superstite sulla casa adibita a residenza familiare fa necessario riferimento al diritto dominicale spettante sull’abitazione al de cuius, sicché, ove la residenza sia sita in un immobile in comproprietà, il diritto di abitazione trova limita ed attuazione in ragione della quota di proprietà del coniuge defunto; pertanto, qualora la porzione spettante non possa materialmente distaccarsi per l’indivisibilità dell’immobile e questo venga assegnato per intero ad altro condividente, deve farsi luogo all’attribuzione dell’equivalente monetario di quel diritto.
Diversamente comporterebbe, ingiustificatamente, se non il sacrificio, quantomeno la compressione, per tutta la durata della vita del coniuge superstite, del diritto dominicale acquisito da altri soggetti, ad esempio in virtù di una diversa successione mortis causa (figli, ascendenti, collaterali).
La stessa limitazione sussisterebbe anche nel caso in cui il terzo comproprietario sia altresì coerede o solo nel caso in cui il terzo sia estraneo alla successione?