CONSULENZA LEGALE IN DIRITTO DEI MINORI
Indice
“Non ci può essere rivelazione più acuta dell’anima di una società che il modo in cui tratta i suoi bambini”.
È con questa frase di Nelson Mandela che vorrei aprire questa pagina dedicata al diritto dei minori.
Il diritto dei minori è costituito da quell’insieme di norme e disposizioni legislative volte a tutelare e salvaguardare i diritti fondamentali ed imprescindibili di quei soggetti che, non avendo ancora compiuto il diciottesimo anno di età, si trovano o possono trovarsi in situazioni di svantaggio e di difficoltà.
Cenni storici internazionali
Sebbene il primo Tribunale specializzato in materia minorile (Tribunale per i minorenni) venne istituito solo nel 1934, il primo disegno di legge in tale materia ha visto la luce già nel 1909. Negli anni a seguire, è utile richiamare la promulgazione della Dichiarazione dei diritti del fanciullo da parte della Società delle Nazioni nel 1925 e della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo da parte dell’ONU nel 1948, per poi giungere all’approvazione della Dichiarazione dei Diritti del Fanciullo nel 1959.
I principi affermati nelle Dichiarazioni dell’ONU valgono anche all’interno dei singoli Stati e, in Italia, la nostra Costituzione statuisce all’art. 10, comma 1, che “l’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute”.
Nel 1989 ricordiamo infine l’approvazione della Convenzione ONU sui Diritti dell’Infanzia (ratificata in Italia con L. 27 maggio 1991 n. 176) che imponeva agli Stati membri di attivarsi concretamente affinché l’assistenza offerta al minore fosse effettiva, data la sua condizione di debolezza. Tra i vari diritti sanciti, ricordiamo il diritto all’educazione, al riposo, allo svago e al gioco, il diritto ad essere protetto contro lo sfruttamento economico e da qualsiasi tipo di lavoro rischioso, così come contro ogni forma di sfruttamento e violenza sessuale, il diritto a non essere separato dai genitori, salvo che la separazione sia nel suo superiore interesse, e via dicendo.
Dove è contenuta la disciplina del diritto minorile nell’ordinamento italiano?
Nell’ordinamento italiano, improntato sul principio del favor minoris, le norme a tutela del minore si trovano sia nella Costituzione che nei Codici civile, penale e di procedura civile e penale, oltre a diverse leggi speciali contenenti disposizioni ad hoc in materia.
Innanzitutto nella Costituzione troviamo gli articoli 2, 30, 31, 34 e 37 che rispettivamente riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’individuo (art. 2 Cost.), statuisce il dovere dei genitori di mantenere, istruire ed educare i figli (art. 30 Cost.), protegge la maternità, l’infanzia e la gioventù (art. 31 Cost.), sancisce l’obbligatorietà e gratuità dell’istruzione inferiore che deve essere impartita per almeno 8 anni e contemporaneamente garantisce anche ai non abbienti ma capaci e meritevoli il diritto a raggiungere i gradi più alti degli studi (art. 34 Cost.) e infine riconosce la parità di diritti (e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni) della donna lavoratrice, precisando che le condizioni di lavoro devono consentirle l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione (art. 37 Cost.).
Nel Codice Civile richiamiamo, tra le molte, le disposizioni a tutela dei figli minori in caso di crisi della coppia, la disciplina sull’affidamento e sull’assegnazione della casa familiare al genitore presso cui i figli vengono prevalentemente collocati, i diritti dei minori a mantenere rapporti con l’altro genitore e tutti i parenti. Qualora si fosse interessati a questi temi, si segnala che gli stessi sono stati approfonditi meglio nella pagina dedicata al diritto di famiglia.
Nel Codice Penale sono altresì contenuti una serie di articoli che prevedono e puniscono reati che possono essere commessi a danno dei minori, come l’abbandono del minore, la violenza sessuale sui minori, la pedopornografia, ecc.
Per quanto attiene le leggi speciali, si ricordano:
– L. 23 dicembre 1997, n. 451, relativa alle attività di controllo e di indirizzo in materia di tutela dell’infanzia;
– L. 28 agosto 1997, n. 285, “Disposizioni per la promozione di diritti e di opportunità per l’infanzia e l’adolescenza”;
– L. 3 agosto 1998, n. 269, volta a rafforzare la tutela dei minori contro lo sfruttamento della prostituzione, della pornografia e del turismo sessuale;
– L. 25 maggio 2000, n. 148, che ratifica la Convenzione sulla proibizione dello sfruttamento del lavoro minorile;
– L Cost. 31 gennaio 2001, n. 2, con cui si abroga l’art. 3 della L. 31 maggio 1975, n. 191 in materia di arruolamento dei minorenni.
Riconoscimento di maternità e paternità e disconoscimento
Il riconoscimento è l’atto attraverso cui i genitori si attribuiscono la maternità o paternità di una persona, sicché si producono rapporti giuridici tra colui che effettua il riconoscimento (genitore) e colui che viene riconosciuto (figlio). Sia la madre che il padre possono riconoscere il figlio o al momento della nascita, oppure successivamente in un atto pubblico o nel testamento.
Il nostro ordinamento prevede altresì la possibilità di adire l’autorità giudiziaria al fine di ottenere un provvedimento che dichiara la sussistenza del rapporto di filiazione e produce gli stessi effetti del riconoscimento.
Viceversa, l’azione di disconoscimento della paternità, disciplinata dal nuovo art. 243- bis del Codice Civile, può essere proposta per rimuovere l’attribuzione al marito della paternità del figlio concepito durante il matrimonio:
“L’azione di disconoscimento di paternità del figlio nato nel matrimonio può essere esercitata dal marito, dalla madre e dal figlio medesimo.
Chi esercita l’azione è ammesso a provare che non sussiste rapporto di filiazione tra il figlio e il presunto padre.
La sola dichiarazione della madre non esclude la paternità.”
Infatti, si presume che padre del figlio nato in costanza di matrimonio (ossia nato dopo che siano trascorsi 180 giorni dalla celebrazione del matrimonio e non siano ancora trascorsi 300 giorni dal suo scioglimento, annullamento o cessazione degli effetti civili) sia il marito della madre.
Adozione
Purtroppo non tutti i minori hanno la fortuna di nascere in una famiglia che si prenda adeguatamente cura di loro. Sono infatti troppi i bambini minori di età che si trovano nel c.d. stato di abbandono e a cui mancano il sostegno materiale e morale della famiglia. Al fine di garantire anche ad essi il pieno sviluppo della propria individualità e personalità, l’ordinamento ha previsto l’istituto dell’adozione affinché questi minori possano costruire un vero e proprio rapporto di filiazione all’interno di una nuova famiglia.
Quali tipi di adozione esistono?
L’adozione di minorenni si distingue in:
- Adozione legittimante, attraverso cui il minore che si trova in stato di abbandono diviene a tutti gli effetti figlio nato all’interno del matrimonio dei genitori adottivi, venendo meno ogni legame tra il minore e la famiglia di origine;
- Adozione in casi particolari, a cui si ricorre in casi specifici in cui non vi sono i presupposti per l’adozione legittimante e attraverso cui il minore diviene figlio adottivo dell’adottante, sicché non viene neppure meno il legame tra il minore e la famiglia d’origine;
- Adozione internazionale, attraverso cui viene legittimamente adottato un minore straniero da parte di genitori italiani o stranieri residenti in Italia o di un minore italiano da parte di italiani residenti all’estero.
I presupposti dell’adozione
Affinché possa disporsi l’adozione di un minore di età, occorre ricorrano diversi presupposti.
Innanzitutto, occorre vi sia lo stato di abbandono del minore, vale a dire che il minore sia privo di assistenza morale e materiale da parte dei genitori o dei parenti entro il quarto grado. Ipotizzata la sussistenza dello stato di abbandono di un minore, questo deve essere accertato dal Tribunale per i minorenni il quale deve dichiarare lo stato di adattabilità del minore.
Infine occorre che i coniugi che intendono adottare il minore abbiano i requisiti richiesti dalla legge, ossia:
- essere uniti in matrimonio da più di tre anni, senza che vi sia stata separazione personale tra di essi negli ultimi tre anni (la legge riconosce questo requisito di stabilità anche nel caso in cui i coniugi siano sposati da meno di tre anni ma abbiano convissuto in modo stabile e continuativo prima del matrimonio per un periodo di tre anni);
- avere un’età tale da superare di almeno 18 anni e non più di 45 l’età dell’adottando (è consentito derogare a questo requisito laddove il tribunale accerti che dalla mancata adozione derivi un danno grave per il minore; se il limite dei 45 anni sia rispettato da uno dei coniugi e l’altro non lo superi per oltre 10 anni; se gli adottanti siano già genitori di figli nati fuori dal matrimonio o adottivi dei quali almeno uno sia minorenne; ed infine se l’adozione riguarda un fratello o sorella del minore già adottato dai coniugi);
- essere idonei e capaci di educare, istruire e mantenere i minori che intendono adottare.
Quali sono gli effetti dell’adozione
Gli effetti dell’adozione si producono quando la sentenza sia divenuta definitiva e siano cioè trascorsi i termini per impugnarla senza che la stessa sia stata impugnata.
Con l’adozione si verificano i seguenti effetti per l’adottato:
- acquista lo stato di figlio nato nel matrimonio degli adottanti;
- assume e trasmette il cognome del padre adottivo;
- cessa ogni rapporto con la famiglia d’origine, fatti salvi i divieti matrimoniali;
- ogni informazione riguardante l’identità dei genitori biologici possono essere fornite ai genitori adottivi, quali esercenti la responsabilità genitoriale, su autorizzazione del tribunale per i minorenni, solo se sussistano gravi e comprovati motivi;
- raggiunti i 25 anni di età, può accedere ad informazioni che riguardano la sua origine e l’identità dei propri genitori biologici (qualora sussistessero gravi motivi attinenti alla sua salute psico-fisica, potrebbe accedervi, previa autorizzazione del Tribunale per i minorenni, anche una volta raggiunti i 18 anni di età).
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