Quando viene a mancare un prossimo congiunto a seguito di un fatto illecito, i superstiti del nucleo familiare subiscono un danno non patrimoniale diretto ed ingiusto, costituito dalla lesione di valori costituzionalmente protetti e di diritti umani inviolabili, quali la perdita di affetti e di solidarietà inerenti alla famiglia.
Non vi sono dubbi sul riconoscimento di tale danno a favore di coniuge, genitori e figli quando il congiunto vittima dell’atto illecito siano rispettivamente il coniuge, i figli e i genitori. Tuttavia i legami parentali e gli affetti si estendono anche al di là del mero nucleo familiare nel suo piccolo, ricomprendendo in particolare anche quelli che si sviluppano tra nipoti e nonni.
Ricordiamo che anche le disposizioni civilistiche (art. 75, 76 e 317 bis c.c.) riconoscono tra nonni e nipoti uno stretto vincolo di parentela, di diritti, doveri e facoltà, rapporti significativi, con la possibilità per i primi di ricorrere al giudice nel caso in cui venga loro impedito l’esercizio di tali diritti.
Il danno non patrimoniale da perdita di un congiunto, “incidendo esclusivamente sulla psicologia, sugli affetti e sul legame parentale esistente tra la vittima dell’atto illecito e i superstiti, non è riconoscibile se non attraverso elementi indiziari e presuntivi che, opportunamente valutati, con il ricorso ad un criterio di normalità, possono determinare il convincimento del giudice in ordine alla sussistenza di un bene leso e da tutelare”.
L’importanza del requisito della coabitazione.
Ci si domanda se la coabitazione debba considerarsi un requisito in via esclusiva o condizionante, come se, in assenza di questa, si potesse negare valore al rapporto affettivo.
Si sono a lungo distinti due orientamenti, l’uno espressione di coloro che ritenevano la coabitazione “necessaria” (al fine di evitare il pericolo di una “dilatazione ingiustificata dei soggetti danneggiati secondari”, Cass. 4253/2012), l’altro di chi riteneva che fossero altri gli elementi da prendere in considerazione, ad esempio l’effettività e la consistenza della relazione, l’intensità del rapporto desumibile dalle modalità di frequentazione e qualunque altro indice che potesse provare la reale incidenza della perdita sul soggetto che agiva per il risarcimento.
La giurisprudenza ha voluto evidenziare come sia proprio la sussistenza di frequentazione e di normali rapporti, soprattutto in assenza di coabitazione, a provare l’intensità del legame affettivo e parentale tra i prossimi congiunti, il quale si è anzi rafforzato nel tempo.
Coabitazione: misura del risarcimento e non limite (Cass. n. 29332/2017).
Con questa recente pronuncia, la Corte ha riconfermato il proprio orientamento rispetto al riconoscimento del risarcimento del danno non patrimoniale subito dai nipoti per il decesso dei nonni: “il nipote può infatti subire un pregiudizio non patrimoniale in conseguenza della morte del nonno per la perdita della relazione con la figura di riferimento e dei correlati rapporti di affetto e di solidarietà familiare indipendentemente dalla convivenza”.
Il rapporto nonni-nipoti non deve essere ancorato alla convivenza per essere giuridicamente qualificato e rilevante, sicché la convivenza costituirà semmai elemento probatorio utile a dimostrare, unitamente ad altri elementi, il rapporto affettivo esistente.
Bisogna infatti viceversa tenere in considerazione anche quei casi di convivenze non fondate su vincoli affettivi, ma determinate da necessità economiche, esigenze di studio e lavoro o altro, ed escludere in tali casi la sussistenza di un risarcimento.
La convivenza, dunque, è la misura, è un parametro, per dimostrare l’ampiezza e la profondità del vincolo affettivo che lega tra loro i parenti e utile a determinare anche il quantum debeatur, ma non certamente un suo limite.
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